Un giovane adulto, nella stanza di lavoro, era alle prese con il processo di soggettivazione. Introdotto da Raymond Cahn agli inizi degli anni 90, la soggettivazione è un lavoro psichico che dura tutta la vita ma in particolare ci coinvolge e ci impegna alla fine dell’adolescenza nel passaggio all’adultità. Esso richiede l’elaborazione del lutto dell’infanzia, il lasciar andare le immagini interne idealizzate dei genitori e l’emancipazione dalla dipendenza e dal rancore verso dai genitori reali, il ridimensionamento degli ideali onnipotenti, la tolleranza del dolore psichico derivante dalle inevitabili perdite e delusioni e la capacità della scelta, della responsabilità del proprio progetto esistenziale. Il mio paziente stava con fatica lasciando andare il mondo di bambino/ adolescente con dei genitori difficili, conflittuali tra loro e che lo avevamo messo dentro da sempre nel loro inarrestabile ritorsivo conflitto che gli aveva recato tanta fatica psichica e sofferenza.

Mi dice “perché proprio a me? Perché sono nato da loro perché?”

Si sta interrogando sulla sua collocazione nel mondo, cerca senso e pace nella storicizzazione di sé.

Pellizzari parla di “identità assegnata” che ciascuno di noi riceve alla nascita. È una scoperta depressiva, di disincanto. Ma, lontano da ogni visione deterministica, gli dico che a partire dalla sua cifra distintiva può costruire sé stesso come sintesi originale del già dato (che ci precede sempre)e delle scelte creative che lo trasformeranno in continuazione.

Eravamo alla fine del percorso. In una delle ultime sedute mi vennero in mente i famosi versi di Rainer Maria Rilke (dalle Lettere milanesi) che rendono l’ineffabile mistero dell’essere ciò che si diviene: la nascita a sé stessi. Lo nutrirono e lo commossero. Con dolore era diventato grande. Era nato in una nuova coesione e integrazione di Sé. E aveva l’emozione di sentire che il futuro era nelle sue mani.