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Ilaria Dufour

Tutti

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La psicoanalisi cambia con le trasformazioni sociali, economiche, culturali, ambientali. Rifletto e mi interrogo rispetto alla fascia d’età dei giovani adulti, fase che implica un doppio transito, dalla fascia adolescenziale a quella di giovane adulto e da quest’ultima alla fase dell’adultità. Giovani che cambiano repentinamente in una epoca di mutamenti veloci e radicali che riguardano tutte le maglie della realtà sociale, culturale, antropologica, famigliare, psicoaffettiva. Come dev’esser il trattamento? Quale setting? Adatto a un adulto, a un adolescente? La risposta ottimale è questa: quello più adatto al paziente ma anche al terapeuta e alla loro relazione. La sfida è quella di adattare la psicoanalisi alle nuove condizioni dei soggetti che mutano continuamente.
Cito “L’ospitalità della clinica psicoanalitica di oggi” di Marcio de Freitas Giovannetti, che è stato presidente della Società brasiliana di psicoanalisi di San Paolo: ”se fino a pochi anni addietro, i soggetti che arrivavano nei nostri consultori già portavano a priori la strutturazione di uno spazio geografico e storico, con una maggiore o minore configurazione di frontiere interne e esterne a una casa, i nostri nuovi pazienti soffrono dell’inesistenza di questo luogo, la casa…Se i nostri pazienti prima venivano per un’analisi con l’idea di un tempo e di uno spazio di permanenza aderendo a una data frequenza settimanale delle sedute, esistendo dentro di loro il concetto di permanenza, i pazienti di oggi, che vivono in un mondo senza frontiere e in cui il concetto di continuità è sostituito dalla accelerazione del tempo, faticano a essere dentro al classico setting dell’analisi. È la funzione centrale dell’analista di oggi costruire con ognuno di loro un possibile setting affinché si possa costruire l’analisi. Che oggi è tesa a lavorare affinché lo spazio virtuale e senza frontiere si possa trasformare in un luogo. Luogo di intimità, di scambio, di racconto. Luogo di reale esistenza, non virtuale. Perché l’analista oggi possa svolgere la sua funzione originale egli deve decostruire il suo materiale concettuale, decostruire il suo setting classico. Solo così potrà offrire ospitalità a questa nuova soggettività che emerge in questi nuovi tempi senza luoghi e senza frontiere. Solo così egli potrà mettersi in cerca di nuovi territori o spazi dell’emergente soggettività in un momento in cui la storia si accelera. Solo così, in questo nuovo registro, si potrà ricreare in una mutua compartecipazione, un qualcosa che abbia il senso di “un mio focolare”, una mia casa, una mia identità. L’identità dell’analista non è strutturata nel suo divano, nella frequenza delle sedute, nè tantomeno nell’esatta interpretazione. La sua identità si struttura in una sua capacità d’ascolto della parola dell’altro allo stato nascente, nell’intervento che mantiene acceso il dialogo vivo …e nella provvisorietà dei concetti che delineano il nostro campo. È a questa provvisorietà che punta l’opera freudiana, nel suo costante rifarsi”. Conclude” Noi siamo, in questo inizio di secolo XXI, in un mondo senza frontiere e di un tempo accelerato, nuovamente in movimento verso luoghi forti, nudi e crudi, e, a dispetto di tutti i nostri fondamentalismi, soli con noi stessi. È questa la nostra sfida in quanto psicoanalisti: come facilitare la “visita”, come ospitare ed essere ospiti di questo altro che ci cerca, visto che l’anima umana continua a esser fluttuante. Se e quando saremo capaci di questo, di essere ospitali a questa nuova parola, tocca a noi deciderlo. La rinuncia ai giochi di una volta sarà conseguenza della piccolezza o della grandezza della nostra anima. E della nostra audacia”.