Julia Kristeva (1941) linguista psicoanalista e scrittrice francese di origine bulgara. Di grande profondità le sue riflessioni sulla disabilità, vissuta in prima persona avendo il figlio, di cui ha sempre molto parlato nei suoi scritti, con problematiche legate alla disabilità.

Così scrive: “Io sostengo che l’handicap non si riduce alla categoria della differenza. l’handicap ci mette a confronto con la mortalità. Evoca l’angoscia della finitezza umana, l’angoscia dei limiti dell’uomo stesso. E da qui, difensivamente, le reazioni di indifferenza, vergogna, talvolta arroganza da parte di molti. La mortalità “handicappante” è per noi ancora impensabile”.

Si impone di conseguenza un cambiamento radicale di mentalità, perché le prove dell’handicap ci invitano ad assumere e accompagnare la condizione umana fino si suoi limiti e alla sua finitezza.

La coscienza della nostra finitezza e il suo accompagnamento fanno parte della singolarità umana.

“Un’altra revisione si impone rispetto al concetto di norma. La norma è una costruzione sociale, economica e morale che obbliga e discrimina.

Si distingue una forma tipo universale (archetipo, idea, norma) da cui si discostano diversi casi per errore, ovvero privazione dell’essere”.

Da qui il concetto della solidarietà tramite il concetto di privazione/mancanza d’essere. Il paradigma della mancanza, con il contraltare della compassione e tenerezza ha i suoi limiti nell’infantilizzazione e nel blocco del soggetto in oggetto di cura.

Abbandonando il paradigma della mancanza e dello sbaglio, Kristeva sostituisce quello della singolarità incommensurabile di ogni persona, persone con disabilità comprese.

In questa forma di etica la singolarità è pensata come il solo valore.

Alla solidarietà verso la disabilità va sostituito l’amore delle singolarità. La ferita non è mancanza ma viene data e ricevuta come singolarità.

Che cosa si intende per amore delle singolarità?

“L’amore in quanto desiderio e volontà che la singolarità possa illuminare, far riconoscere e sviluppare, condividendola, la propria singolarità. Quindi questo tipo di amore è ben più che solidarietà, solo questo amore può condurre la singolarità positiva di colui che testimonia la mortalità a espandersi nella società”.

“La vita è sopravvivenza continua e permanente. Tenere presente i limiti e considerare la finitezza e la mortalità come parte della vita induce a un’etica che è una nuova arte di vivere, che non avrà nulla di tragico ma sarà autentica, complessa e esigente”.