Una ragazza è incapace di esprimere il suo dolore con le parole. Di sentirlo nella mente. E di collegare malessere fisico a disagio psicologico. Le sensazioni corporee sono slegate dalle emozioni e dai pensieri. Manca la mentalizzazione e la capacità di rappresentazione delle sue fatiche psichiche. Tutto si gioca sul corpo. Sintomi somatici multiformi e variegati abitano le sue giornate. Coliti persistenti, mal di testa resistenti ai farmaci, paralisi del sonno, attacchi d’ansia accompagnano i giorni sempre uguali in DAD. Racconti dettagliati e minuziosi di sensazioni fisiche del malessere psicosomatico occupano le sedute producendomi un effetto soporifero, di impotenza mista a nausea e fastidiosa insofferenza.

Da sempre considerata fragile sul piano fisico e cagionevole di salute a partire dalle prime coliche da lattante e dai disturbi del sonno dei primi mesi di vita non è mai stata vista se non come corpo da accudire, da nutrire, da curare. Il corpo nello sguardo dei genitori non ha mai veicolato messaggi del se’ e del mondo interno. Lutti traumatici per malattie incurabili, avvenute precocemente nelle famiglie dei genitori e mai elaborati, sono piombati non mediati dal senso e da elaborazioni trasformative sulla bambina da proteggere e salvaguardare con cure ansiose del corpo e sul corpo.

Nella prima adolescenza sintomi somatoformi e attacchi d’ansia si presentavano all’uscita da casa, verso un mondo sentito pericoloso e terrifico in quanto fuori dalla nicchia protettiva della quiete famigliare. Con la Pandemia e il confinamento a casa e senza la scuola da raggiungere, la regressione si amplifica, e le uscite da casa sono quasi del tutto impossibili. In ascolto del mio disagio intriso di impotenza e insofferenza comprendo il suo disagio di fronte alla risposta da parte dei genitori solo sul suo corpo, con una negazione terrifica delle fatiche psichiche e della complessità del mondo emotivo. Un lento e faticoso lavoro di mentalizzazione e di traduzione dal corporeo all’emozionale e al mentale ci avvierà verso nuovi panorami. Il viaggio sarà lungo e impervio ma finalmente un sogno, come una messa in scena di trame e storie per immagini, dà fiducia nella possibilità di rappresentazione e trasformazione. Nel sogno lei era a casa con la famiglia, non si poteva uscire perché lontano c’erano degli spari. Apriva la porta. Era incuriosita dal fuori ma, sentendo degli spari di lontano, aveva paura di uno scontro: era meglio stare protetti in casa.

Un’idea di conflitto, qualcuno che spara c’è. Personaggi lontani legati al conflitto sono presenti ma tenuti fuori da casa in una famiglia invischiata e simbiotica dove non ci si può differenziare, separare, perché sarebbe come morire. Tensioni e scontenti prendono forma grazie al pensiero onirico che dà avvio a possibili nuove letture di ciò che succede a livello intrapsichico. E il sogno, finestra sull’inconscio, ci rimanda che un senso celato si può trovare. Non si è solo un involucro di organi dolenti che soffrono, il corpo parla, racconta. Dare lettura e traduzioni di senso fa incontrare una ragazza fragile, impaurita delle trasformazioni corporee e dell’autonomia da casa, dalla soggettivazione, dalla separatezza e dal conflitto di crescita.