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Ilaria Dufour

Tutti

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Un ragazzino molto chiuso e inibito non riesce a far i conti con l’uscita da casa.
È in preadolescenza, è fragile e ancora poco attrezzato per la complessità del mondo esterno. Mi parla dei giochi tecnologici che riempiono la sua giornata. E anche le nostre sedute. Non riesce ad inoltrarsi in nuovi territori, ad aprire sguardi sul mondo esterno. Studia, dice che ha troppi compiti per uscire. Il mondo degli altri, alternativo alla famiglia, lo spaventa.
Mi racconta di scenari di gioco tecnologico in cui ci sono impostori, in cui deve fare mosse tattiche per non essere annientato, e trovare strategie di sopravvivenza giocando in difesa.
Non interpreto, non ha senso, cerco di raggiungerlo là, dov’è lui, sul suo terreno di gioco, tra situazioni pericolose e difficili, tranelli e brutti scherzi che può fare il mondo. Mi faccio narrare di questi scenari in cui è avvinto e assorbito.
Solo in fine seduta mi dice che forse non vale la pena continuare il nostro percorso perché non fa nulla, non ha niente da dire oltre a raccontarmi dei suoi giochini.
Mi sembra prezioso il suo contatto con sé stesso, forse la sensazione che la sua vita è accartocciata sui giochi tecnologici ed è finita lì. Poco interessante, noiosa, forse ha paura che io mi annoi e anche che io lo trovi non interessante. Che è come si sente.
In effetti spesso è quello che provo..mi perdo via tra le trame dei suoi giochini e mi annoio, mi sento impotente e inutile, in un vuoto di senso e di vita ferma che rotola su se stessa. Forse quello che prova lui.
Dico che a me dispiacerebbe molto perché a me interessa lui e non i racconti che fa, i racconti cambiano, si modificheranno: lui è in divenire, si cambiano gli sguardi, i modi di essere, i pensieri in questa età di metamorfosi, di passaggio. (Non è mica in un fermo immagine penso).
Lui: “Davvero? Dici che riuscirò prima o poi a uscire e raccontarti altro?” Gli rimando che sono convinta che i suoi panorami di racconto e le sue narrazioni sono in trasformazione. Stanno già cambiando. Conclude dicendo ‘dai va bene continuiamo come sempre, ci sentiamo prossima settimana’.
Mi sono sentita testata, interpellata alla mia funzione, che è prima di tutto costituita di uno sguardo ospitante, di capacità negativa, di ‘tenuta’, di speranza e di benevola attesa di trasformazioni possibili e di futuri e nuovi sogni non ancora sognati.