Etty Hillesum, intellettuale  olandese ebrea, nata nel 1914, è morta ad Auschwitz nel novembre 1943. Aveva solo 29 anni. Ci ha lasciato il suo famoso diario in cui racconta la vita ad Amsterdam occupata dai nazisti e poi l’esperienza nel campo di transito di Westernork con i suoi familiari, dal quale poi fu condotta ad Auschwitz. La scrittura viva e vibrante di Etty la fa sopravvivere e la tiene viva. Elisabetta Rasy dedica questo libro alla vita di Etty nella sua vita e nella sua scrittura, non solo nella fine drammatica. La Rasy definisce il diario di Etty non solo come una testimonianza della persecuzione nazista ma anche come un grande romanzo di formazione. L’abnegazione e la profonda spiritualità di Etty si innestano  sulla vita precedente impegnata sulla ricerca di se stessa. Etty viveva  il suo essere donna e scrittrice in modo anticonvenzionale. Etty cerca se stessa e cerca di assumersi la responsabilità di se stessa, sia sul piano della libertà politica, civile religiosa sia sul fronte della libertà psichica. Etty riesce a crescere spiritualmente anche nella  persecuzione e la deportazione nei campi di sterminio. Attraverso il suo percorso ci insegna la resistenza alla vita e agli eventi. Scrive Etty: “possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere”Lei che era in cerca di una forma e si diceva ospite di se stessa, ci dice che si può scegliere di non cacciare la testa sotto la sabbia. Scrive ”quel che conta in definitiva è come si sopporta e si risolve il dolore e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima. Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata pace da ognuno in se stesso, se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso. Forse, alla lunga, in amore, se non è chiedere troppo”