Un ragazzino di 12 anni adottato a 5 anni con un’adozione internazionale mostra una profonda irrequietezza a scuola e a casa e fatica nella concentrazione e nello studio. I genitori non riescono a dare senso alla sua oppositività e, non sapendo più come contenerlo, gli impartiscono castighi e punizioni, sfiniti dalla sua provocatorietà che con le Scuole medie è andata crescendo. Più lo sgridano più si oppone. Anche a scuola la situazione peggiora.

Giungono a chieder un aiuto molto preoccupati. Si sentono messi in scacco. Fanno fatica inizialmente a far parlare il concreto e mi chiedono ricette su come poter fare. Ma l’intero scenario cambia nel tempo.

Il ragazzino, intelligente e molto simpatico, nelle sedute inizialmente oppositivo, via via si quieta, perché contenuto da una relazione che nutre e rimanda senso e valorizzazione, dove non ci sono punizioni e sgridate e nella quale sembra sentirsi con il tempo riconosciuto e compreso nei suoi vissuti più profondi.

Prende a coinvolgermi in giochi di presidi e professori severissimi che danno note, rimproverano e sospendono scolari indisciplinati, o poco capaci di comprendere le lezioni. Fa fare a me la scolara che sbaglia tutto nei compiti, e che viene trattata con durezza e severità. Da alunna dò voce al mio dolore. Nel gioco poi la scuola cambia fisionomia e si trasforma in una specie di collegio, e poi di orfanotrofio. Dirigenti esigenti e severi trattano con durezza i bambini che non ubbidiscono e non seguono le regole. Sono tristi e agitati perché temono le punizioni e si sentono trattati come schifezze. Il nostro gioco fluisce e si snoda come una rappresentazione teatrale che via via cocostruiamo. Sento sulla pelle e nella mente un clima di durezza e direttività che annienta e mortifica, e che lascia nella deprivazione affettiva e nel disvalore del Sé. Lo scenario del gioco mi fa vivere il dolore che lui ha provato. Lasciato il gioco, affiorano abbozzi di memorie della sua vita precedente l’arrivo in Italia, sbiadite fotografie mentali dell’istituto in cui viveva, che diventano più nitide rievocazioni di eventi vissuti o di atmosfere sperimentate.

Mi fa vedere una cicatrice che ha sulla testa, mi elenca nomi di amichetti di allora nella sua lingua d’origine. Mi fa disegni della camerata dove dormiva e del cortile dove giocava. Fino al disegno di un bebè “nell’istituto da sempre” in quanto abbandonato poco dopo la nascita. La sua storia. Vissuti dolorosi di vuoti e angosce del buco delle origini emergono nelle sedute. Sembra che il contesto scolastico, inizialmente avesse rievocato il contesto dell’orfanotrofio. Gli insegnanti erano diventati gli operatori dell’istituto e quindi si erano coloriti di persecutorietà è ciò avveniva anche a casa.

I genitori comprendono con me questo copione antico che si riattiva.

È il tempo ‘giusto’ da parte dei genitori per riraccontare e riprendere la sua storia della preadozione. E la LORO storia insieme. Così i genitori rievocano con lui i primi incontri, leggono con lui la documentazione dell’adozione e le foto dell’istituto e del personale dell’istituto, in cui si erano conosciuti. Riscontro da parte del ragazzino un nuovo ascolto della storia preadottiva, prima erano informazioni intrusive e traumatiche, ora diventano elementi necessari e fondanti per cucire insieme i due pezzi di storia, che fanno insieme la sua, dolorosa, ma l’unica che ha, e la sola in cui si possa riconoscere e collocare, fatta di due scenari che vanno integrati.

Via via le cose migliorano a casa e in classe. La scuola ce la mette tutta a contenerlo e a comprenderlo senza sanzionarlo troppo. E anche i genitori lo guardano in modo nuovo.

Io, gli insegnanti e i genitori costituiamo una rete di fili di menti alleate e intrecciate che contengono, arginano, riparano, tenendo insieme i 2 pezzi di storia. Insieme, ognuno con la sua funzione, cambiamo sguardo, che diventa riparativo e supportivo e anche lui cambia sguardo sul mondo. Via via gli insegnanti diventano adulti che gli vogliono bene ma esigono il rispetto delle regole, i genitori incarnano la funzione di mamma e papà che l’hanno scelto e lo amano, facendo del loro meglio per comprendere la complessità della sua vicenda. La terapeuta, affettuosa e creativa depositaria di memorie e storie, presenti e passate (ora intrecciate e trasformate) del ragazzino nel rapporto con se stesso e con il mondo, si fa veicolo verso nuove storie future, tutte ancora da scoprire.