Nella stanza di lavoro tante volte la metafora ci viene in aiuto, ci consente di tradurre e di decifrare vissuti interni profondi altrimenti non nominabili e inavvicinabili.
Essa crea uno spostamento dal livello concreto-somatico al livello fantasmatico-mentale e avvia trasformazioni dal sensoriale al narrativo.
Scrive Thomas Ogden in Rêverie e Metafora “Gran parte del modo in cui i pazienti parlano ai loro analisti e gli analisti ai loro pazienti si manifesta come comunicazione e elaborazione delle proprie e altrui metafore”.Ogden sostiene che in un processo analitico che funzioni bene, molto di quello che succede assume la forma di una sorta di creativo e spontaneo gioco dello scarabocchio verbale, che è una sorta di gioco con le metafore inventate spontaneamente.
Il gioco metaforico è molto prezioso in quanto permette di vivere l’analisi portando reciprocamente diversi aspetti della propria esperienza in modi nuovi creativi e stimolanti.
Scrive ancora Ogden: “Lavorare con pazienti che nel loro pensiero e nel loro linguaggio sono molto concreti è un’esperienza di comunicazione (o di carenza di comunicazione) priva di linguaggio metaforico. Senza metafora aderiamo a un mondo di superficie con significati su cui non possiamo riflettere.
“Quando un paziente è incapace di giocare nell’analisi, il lavoro dell’analista è portare il paziente da una situazione di incapacità di giocare a una situazione di capacità di giocare” (Winnicott)
A. Ferro in “Campo analitico e le sue trasformazioni” scrive così della metafora: “si forma dal funzionamento onirico dell’analista che passa al paziente il metodo per compiere tale operazione… Dalla rêverie nascono metafore vive ed esse sono un modo privilegiato per fare uso della rêverie”.
Definizione pregnante e efficace, che lega il pensiero onirico alla metafora, metafora che via via attiva trasformazioni nelle narrazioni del paziente in un sogno/gioco a due che diventa la matrice e il veicolo del cambiamento.