(Ricordo di un film intenso e bellissimo!)

Ieri ho visto questo bel film, in cui natura e ricordo si intrecciano e parlano tra loro. Film di memoria, di storia, di testimonianza.

Il regista Patricio Guzman, nato a Santiago del Cile nel 1941, è partito per sempre dal Cile dopo il golpe di Pinochet (avvenuto l’11 settembre 73).

Dal 73 ha vissuto a Cuba, Venezuela, Usa, Germania, Spagna e Francia. Esilio continuo, regista errante. Ma tutti i suoi film raccontano del suo paese ferito, amato a distanza.

La meravigliosa e imponente Cordigliera si fa simbolo e metafora della bellezza del paese amato. La Cordigliera evoca ricordi perduti dell’infanzia, e induce un viaggio introspettivo del regista sulla vita vissuta in Cile fino a 32 anni (1973). E diviene una testimone degli eventi atroci del colpo di stato che hanno cambiato il modo di vivere di un popolo. Dopo il golpe il regista è stato arrestato e poi è riuscito a lasciare il paese. Resta la solitudine, l’angoscia, il dolore della frattura che il golpe ha creato sul regista e su tutti i cileni. Frattura traumatica come le fratture, le spaccature e le gole delle montagne della Cordigliera. Pinochet instaurò una brutale dittatura retta da una giunta militare da lui presieduta. Il Cile fu governato per 17 anni con il pugno di ferro e il prezzo fu altissimo. Venne attuata una repressione dell’opposizione che consistette in un vero sterminio di massa.

Il film incornicia sequenze di riprese reali di brutali repressioni e violenze su giovani, donne, studenti che manifestavano dissenso verso il regime. La meravigliosa Cordigliera solenne è immutabile, raccoglie i ricordi dai tempi più remoti, rievoca l’infanzia e fa da sfondo a scene di violenza inaudita. Raccontare, documentare, fotografare per non dimenticare e per elaborare il dolore di un popolo che ha subito un regime dittatoriale, e che ha visto accrescere enormemente la diseguaglianza sociale e economica.

La memoria è un baluardo contro la rimozione del trauma e dà avvio alla sua lenta elaborazione. Attraverso la narrazione degli eventi traumatici ci si riappropria della storia collegando il passato al presente.

Il trauma, evento catastrofico che ammutolisce e toglie la parola, sofferenza inaudita ingarbugliata e annodata, si trasforma nella sequenza del film, dentro il filo della sua trama, nel fluire dei fotogrammi. Come un sogno, nel film, i testimoni tolgono il trauma dal silenzio e gli danno parola, dando forma all’indicibile doloroso.

La testimonianza ha una funzione commemorativa e pedagogica e rivendica un impegno etico, una presa di coscienza e un bisogno di giustizia.

Chi è stato nell’orrore, ne esce trasformato dandogli racconto. E non rimane indifferente e si indigna interpellandoci a una dimensione etica. E ci spinge a far circolare memoria dell’orrore per non dimenticare e per capire, attraverso il passato il presente, nella speranza di un nuovo futuro. E di futuro si parlerà nel prossimo film che il regista sta preparando, sul Cile di oggi, attraversato da movimenti sociali che vogliono cambiare il paese e finalmente cancellare davvero la dittatura di Pinochet e, dopo trent’anni avviarsi verso una nuova Costituzione (Pinochet ne aveva elaborata una nel 1980 che gli calzava a pennello, che è stata nel tempo modificata ma che di fatto non mutava il solco tra pochi privilegiati e tanti svantaggiati) per una società più libera, creativa, e democratica.

Sarà da vedere anche il prossimo.